sabato 1 dicembre 2018

Vita Divina di Maria Santissima (I)

Presentiamo in anteprima ed esclusiva ai nostri lettori, in pubblicazioni mensili, l'opera Vita Divina di Maria Santissima, scritta dal Padre Maestro Bonaventura Amedeo De Cesare, de' Minori Conventuali, Consultore della Sacra Congregazione dell'Indice, Maestro Collegiale della Università Teologica, e Teologo del Signor Cardinale Sersale Arcivescovo di Napoli. Abbiamo preferito non ammodernare l’italiano settecentesco per esaltare meglio anche la poeticità di questa ammirabile opera.


Lucas de Valdés, Immacolata Concezione, Casa Consistorial de Sevilla, Spagna, primi del XVIII sec. 


AL GLORIOSISSIMO PATRIARCA SAN GIUSEPPE
PADRE MAESTRO AMADEO

Mi presento dinanzi a Voi, o mio specialissimo Protettore, con una Offerta degna di Voi, ed a Voi senza dubbio graditissima, che è la Vita Divina di Maria vostra Sposa, e mia Sovrana. Ella impegnatissima del vostr’onore dettommi l’anno scorso i Sacri stimoli ad amare San Giuseppe, che bentosto manderò alla luce col vostro ajuto, e Voi accettate la Storia di sua innocentissima prodigiosa Vita, e proteggetela con impegno, acciò infervori tutte quelle case dov’entra, e santifichi tutti que’ che la leggeranno. Io attesto con giuramento, che avendola letta un gran Peccatore per semplice sua vaghezza, si compunse, si convertì, dopo trent’anni che non s’era confessato, e dopo pochi dì fu ucciso, lasciando a me, che la scellerata sua vita sapevo, la speranza di essersi salvato per la lettura di questa Vita divina. Or frutti maggiori spero produrrà di vita eterna sotto del vostro potentissimo Patrocinio, giacché di Voi scrisse un divoto Teologo: Joseph omnes ad Virginem invitat et parat, ad vitam eamque perennaturam omnes homines allicit (Novar. l. 4. Exc. 118. num. 1120); così col doppio Patrocinio e di Voi, e della Sposa ottener possiamo ogni grazia in questa vita, e nel cominciamento dell’altra: Ut quod possibilitas nostra non obtinet, ejus nobis intercessione donetur (In orat. de S. Jos. 19 Mart.). E resto a’ vostri santissimi piedi.

IL PADRE MAESTRO BONAVENTURA AMEDEO DE CESARE AI DIVOTI LETTORI

Troppo era senza fallo lungi dal mio pensiero lo scrivere in questo tempo dietro a materie divote, nella seria grave applicazione ritrovandomi dell’Opera polemica voluminosa: Ecclesia vindicata; ma lo zelo delle Anime redente mi ha tirato a farlo per tutte le maniere. Conciossiaché la nostra Italia intiepidita nella viva fede veggendo, mandai fuori le due Dissertazioni contro l’Ateismo, e ultimamente: De critices in re praesertim sacra, recto pravoque usu; ma poiché l’umana corruttela è pur troppo avanzata, e bevonsi come acque le iniquità, alla gran Regina dell’Universo rivolgei il pensiero e il mio cuore, raccomandando a lei come Avvocata de’ peccatori la mia, e l’altrui causa; e rammentandomi di ciò, che le diceva il mio Dottor Serafico: Scire et cognoscere te, est radix immortalitatis, et enarrare virtutes tuas, est via salutis (In psalter.). Risolvei di pubblicare in ristretto la di lei vita ammirabile, sperando, che leggendosi, e raccontandosi, sia per far guerra all’Inferno, ed a distruggere il peccato.

Ma perché scorgo il secolo nostro di mali critici abbondante, e pieno, a cagion che la vera viva Fede languisce, uopo sembrami pria di principiare l’operetta premettere queste avvertenze. E primieramente sappiasi, che questo Ristretto cavato, e tratto si è fedelmente, senza di mio capriccio aggiungere nulla, e senza scemarne o alterarne cosa, dalla Mistica Città di Dio, miracolo della sua Onnipotenza e abisso della grazia, storia divina e vita della Vergine Madre di Dio, manifestata in questi ultimi secoli per mezzo della stessa Gran Signora, alla sua serva Suor Maria di Gesù Francescana, Abbadessa del Monistero di Agreda. Fu esaminata quest’Opera, in più Tomi ripartita, colla censura più rigorosa, non solo minutamente, ma parola per parola da’ più dotti Vescovi delle Spagne, e per ordine di Filippo IV; e di quella Sagra Inquisizione, ed indi impressa in Madrid nel 1668, in quell’idioma Spagnuolo; e poi esaminata di nuovo, in varie Città d’Italia tradotta e stampata. Finalmente, non senza special consiglio della Divina Provvidenza, per ordine supremo della santa memoria di Benedetto XIII - Orsini fu esaminata dalla Sacra Congregazione de’ Riti, e a pieni voti approvata con un amplo decreto nel 1729, in questi termini: Mandavit, ut causa praedictae Servae Dei prosequatur in Sacra Rituum Congregatione absque novo examine Librorum mysticae Civitatis Dei, iidemque Libri retineri et legi possint. E con questo decreto restò di nuovo schiacciato il capo a Lucifero, che con tanto furore quella bell’Opera tanto proficua cercava opprimere, e discreditare.

Chiunque leggerà questa vita, con cristiana divozione, confesserà con lagrime, che il dito divino è in quest’Opera per la suavità e dolcezza spirituale, che sentirà nell’Anima, e ne’ fervorosi affetti, quali senz’alcun dubbio sono evidentissimi effetti di essere stata veramente dettata dalla Gran Madre delle Grazie Maria Santissima. Incontrerassi in occulti misteri da niuno antico o recente Padre riferiti, ma tosto si voli col pensiero all’onnipotente braccio dell’Altissimo, alla infinita carità divina, all’eccelsa dignità della Madre di Dio, ed a ciò, che comunemente i Padri ed i Teologi insegnano, che alla divina Madre attribuir se le debbono tutte le perfezioni ed eccellenze tutte, che non sono ripugnanti, e sono proporzionate a quella suprema ineffabile dignità, in cui la esaltò la infinita Maestà divina. Sono inconcussi principi di nostra Fede, la Maternità di Dio, e la pienezza delle Grazie in Maria Santissima. La divina Maternità è quella canna di oro, con cui misurare si debbono l’eccellenze di questa mistica Città di Dio, per esserle stata data tal’eccelsissima dignità con tutto il colmo di Privilegi dovuti a tale ineffabile prerogativa. E l’altra è delle Grazie la pienezza sovra tutte le altre Creature, in guisa che, quanto Iddio a’ Beati Spiriti, o a’ Santi ha conceduto, certamente non lo ha negato a sua Madre, anziché tutto le ha conceduto con ineffabile preminenza. Su questi due soli e inconcussi fondamenti le loro laudi alla Vergine Madre poggiarono i Padri della Chiesa, San Gregorio Nisseno: Maria superat omnem qua comprehendit cogitationem (bom. 3 in Cantic. 1 vers. 10). San Tommaso di Villanova: Quaenam virtus? Quaenam Gratia? Quae gloria Matri Dei non congruit? Solve cogitationibus habenas: dilata intellectui fimbrias, et describe apud te in animo Virginem quandam purissimam, prudentissimam, pulcherrimam, devotissimam, humillimam, mitissimam, omni gratia plenam, omni sanctitate pollentem, omnibus virtutibus ornatam, omnibus charismatibus decoratam, Deo gratissimam. Quantum potes, tantum auge. Quantum vales, tantum adde: major est ista Virgo, superior est Virgo ista. Nam eam Spiritus Sanctus literis descripsit, sed tibi eam animo depingendam reliquit; ut intellegas nihil gratiae, aut perfectionum, aut gloriae, quam animus in pura creatura concipere possit, illi defuisse; immo reipsa omnem intellectum superasse (serm. 2 de Nativ. Virg.). Ne è qui luogo di riferire Padri: leggansi San Germano, Sant’Anselmo, Sant’Idelfonso, San Bernardo, San Bonaventura, Sant’Amedeo Vescovo Lausenze, Ruberto, e Riccardo da San Lorenzo, Pietro Cellense, Giovan Gersone, e altri innumerevoli; solamente conchiudo col dotto, e divoto Vescovo di Consa Ambrosio Caterino dell’Ordine Illustrissimo di San Domenico, il quale scrivendo in difesa della Immacolata Concezione della Vergine, conchiude a nostro proposito: Ego enim, non in hoc privilegio finiri Mariae laudes existimo, sed latere etiam plura beatis nota spiritibus, et sua die revelanda Ecclesiae: ut quaevis aetas suis atque nostris gaudeat decorata mysteriis (Disput. pro Immaculata Conceptione ad PP. Ord. Praedicator. in expugnat. 4 aciei).

In ogni secolo dunque ha disposto l’Altissimo, che si scuoprano nuovi misteri della divina Madre. Non si maravigli dunque il Lettore delle novità stupende, che osserverà in questo presente Ristretto.

Ma dirà taluno, che il dubbio non cade nelle prerogative singolarissime della Gran Madre di Dio, ma ben vero nella verità della Rivelazione. E qui possiamo adattare tutto ciò che il dottissimo Cardinale Turrecremata scrisse in difesa delle Rivelazioni di Santa Brigida. Cinque segni, egli dice, distinguono le rivelazioni fatte da Dio, da quelle del demonio. Primo: che sien conformi ai detti de’ Maestri di Spirito, e Dottori Cattolici. Secondo: dagli effetti, che all’Anima, che le riceve, cagionano. Terzo: dalle materie, e verità, che contengonsi. Quarto: se si conformano, oppure oppongono alla Scrittura santa. Quinto: dalla Persona, che le riceve, se sia di vita approvata. In quanto al primo: Parlò Dio a Samuele chiamandolo tre fiate; ed Ei andò da Eli suo Maestro, stimando, ch’egli fosse, che chiamato lo avesse. Per insegnarci, che Dio sempre parla uniforme ai Maestri di vera sana Ascetica, e a’ Dottori della Chiesa, come scrisse San Gregorio: Vocavit Deus puerum voce Magistri simili, ut modum suae locutionis indicaret (in 1 Reg. cap. 3). E per quanti rigorosi e rigidi esami, che fatti si sono da dottissimi Censori a quest’Opera della Venerabile Serva di Dio Suor Maria d’Agreda, non si è potuto menomo neo ritrovare, che alla Teologia Mistica opposto fosse. E questa gran Serva di Dio, che scrisse l’opera, dopo la ripugnanza di dieci anni agitata dalla profondissima sua umiltà, al semplice cenno di un Confessore straordinario, consegnolla subito alle fiamme, senza veruna replica; mostrando nella ripugnanza di scrivere una somma umiltà, e in questa strana esecuzione, una somma ubbidienza, che sono i veri fondamenti della Santità. Il secondo segno del dottissimo Cardinale è l’effetto della Rivelazione prodotto nell’Anima, che la riceve, ch’esser suole, quando è da Dio, la umiltà santa. Ciò posto, leggasi l’ammirabil sua vita tratta da’ processi per la sua Beatificazione, e Canonizzazione. Leggansi le sue Introduzioni all’Opera, e si vedrà la umilissima Serva di Dio fatta una stessa cosa colla polvere. Basta solo sapere, che per lo spazio di trentacinque anni, per ubbidienza governò il Monistero da Abbadessa, e in tutto questo tempo ritenne costante due uffizj, o mestieri i più penosi e vili: di suonare Ella il Matutino a mezza notte, svegliando e portando lume alle religiose; e l’altro di nettare e pulire i luoghi comodi, chiamandolo, per antonomasia, il suo proprio mestiero. Il terzo segno è l’effetto della materia. E qui dirò col Salmista: Gustate et videte; e come disse Sant’Ambrogio: Ipse pro se loquitur liber (Pertracta omnia, sermones vellica, epist. ad Sabinam). Ognuno, che legge la vita della Divina Madre, confessa, dagli ammirevoli effetti di vera divozione, e dagli interni sentimenti fervorosi di spirito, esser Opera veramente divina; essendo irrefragabile il detto di Cristo: Non potest arbor bona malos fructus facere, neque arbor mala bonos fructus facere (Matth. cap. 7). Il quarto segno, che non siavi cosa, che alla Scrittura Santa si opponga. E su ciò, chiunque legge la storia prolissa, chiaramente si avvede, appunto, come attestano tre dottissimi Vescovi di Spagna, Monsignor d’Escartin, Monsignor di Silvia, e Monsignor Ximenes Vescovo di Piacenza con altri valent’uomini di quelle Università. E che non siavi un apice contro di essa, lo ha già deciso la Santa Chiesa Romana. Il quinto segno è la bontà approvata della persona, che riceve le rivelazioni. E questo lo provano i Processi sulla santa Vita della Venerabile Serva di Dio, che si esaminò dalla Sacra Congregazione de’ Riti, e sperasi tosto venerarla su i Sacri Altari; onde di questa grande Opera può dirsi ciocché disse Lattanzio Firmiano: Quia vera est, quadrat undique, de se tota consentit, et ideo persuadet, quia costanti ratione suffulta est (lib. 5 cap. 3).

Propongo intanto questo Ristretto di Vita della divina Madre, com’esemplare ad ogni ceto di persone, sperando, anzi tenendo di certo, che non siavi Anima ostinata, la quale leggendo questo libro non si scuota, non si commuova, e a Dio non si converta, e perciò alla vera Madre e speranza de’ peccatori non ricorra con lagrime di commozione, e con forti proponimenti di mutar vita. A questo fine si sono posti sull’ultimo di questa Vita gli atti del Cristiano. Laonde compunto il peccatore dalla Lezione di quella divota Storia, faccia tosto con sommo sentimento di spirito quell’Atto di viva Fede, poi quello di contrizione, ed indi quei di Speranza e di Carità, e ricorra all’Avvocata de’ peccatori, e viva con ferma fiducia sotto al suo manto, abborrendo, anco per suo amore il maledetto peccato mortale. E non si sgomenti, perché certamente ci salveremo: Siquis a te aversus, necesse est ut pereat; ita ad te conversus, impossibile est, ut pereat (Sant’Anselmo).

CAPO PRIMO
Maria Santissima nella Mente Divina. Contezza de’ suoi Santi Genitori.

Pria di cominciare a scrivere la Vita ammirabile della divina Madre, uopo è far palese al mondo il posto sublimissimo, ch’Ella ebbe ab aeterno nella Divina Mente. Ancorché la Divina Mente come una, indivisibile e semplicissima, un atto semplicissimo comprensivo abbia, non essendovi in lei tempo né preterito né futuro, noi per nostro modo d’intendere distinguiamo in lei diversi segni. I. Il primo è quello, in cui nell’abisso dell’eternità conobbe Iddio i suoi attributi, e perfezioni colla propensione infinita di comunicarsi ad extra, come Sommo Infinito Bene. II. Fa decretare questa tal comunicazione di se medesimo ad extra colla participazione e manifestazione di sue grandezze. III. Fa conoscere l’ordine, modo, e disposizione di tal comunicazione, determinando che il Divin Verbo si facesse visibile colla Santissima Umanità. IV. Decretò i doni e grazie da darsi all’Umanità divinizzata di Cristo Capo di tutte le Creature. E qui ordinando tutta l’economia perfettissima dell’Incarnazione, venne qui inclusa la Vergine Madre, pria di determinarsi la creazione dell’altre Creature. Determinò pur’anco Iddio di crear luogo per abitare l’umanato Verbo colla divina Madre; onde per loro soli principalmente determinò di creare il Cielo e la Terra con gli Astri, Elementi, e quanto in essi contiensi, e secondariamente per gli Uomini come vassalli, ch’esser dovevano a questo gran Re, e a questa gran Regina. V. Fu determinata la creazione della Natura Angelica per assistere alla divina grandezza, perché la onorassero e amassero; e servissero anco al Verbo Eterno umanato, e alla di lui Santissima Madre, Sovrana loro Regina. Qui appartiene la creazione del Cielo Empireo per lo scoprimento della Divina Gloria e premio de’ buoni, e la predestinazione de’ buoni Spiriti e la riprovazione de’ cattivi; la creazione della Terra per l’altre Creature, e dell’Inferno nel suo centro in gastigo dei spiriti rubelli. VI. Decretossi di creare un popolo e congregazione di uomini a Cristo simili a Lui e suoi fratelli; ordinandosi i favori e grazie da darsi a questo popolo per merito di Cristo loro Capo, e la Giustizia originale, e in essa perseverare voluto avesse. Si vede la prevaricazione e caduta di Adamo, ed in lui di tutti gli altri, fuorché la divina Madre, che non entrò in questo decreto posteriore. Ordinossi il rimedio a questa disgrazia, e che fosse la umanità di Cristo, passibile.

Nell’esecuzione di tali decreti nel tempo, creò Iddio il Cielo e la Terra, e la Luce non solo materiale, ma anco intellettuale, che sono gli Angioli; e quando fu la divisione della Luce dalle tenebre, cioè del giorno dalla notte, sortì quella degl’Angioli buoni da’ cattivi. Lo stato de’ viatori negli Angioli durò morale, o istanti, in uno dei quali furono creati da Dio nell’Empireo, e ornati di eccellenti doni di natura e di grazia; nel secondo, fu loro proposto il Voler Divino per eseguirlo, a conseguire il fine, per cui gli avea creati, ricevendo chiarissimi lumi del bene e del male, del premio e del gastigo; nel terzo ubbidendo gli uni, e repugnando disubbidendo gli altri, furono quegli confermati in grazia e glorificati, e questi contumaci gastigati e precipitati nell’Inferno per esservi tormentati perpetuamente. Il motivo di tale ribellione, e di tal disgrazia fu, che avendo gli Angioli chiarissima cognizione dell’Esser Divino, Uno nell’Essenza e Trino nelle Persone; poiché fu loro imposto di adorarlo come lor Creatore, ubbidiron tutti, ma con disuguaglianza. Lucifero sembrandoli impossibile fare il contrario, lo adorò, ma non con carità perfetta; quindi coll’imperfezione dell’atto, ancorché non perdesse la grazia, cominciò con la sua mala disposizione, nello spirito la fiacchezza. Manifestando loro indi Iddio, com’era per creare la Natura umana da favorirsi da lui di molto, e che la seconda divina Persona l’avrebbe assunta unendola a sé con unione ipostatica; quindi comandò loro, che tutti adorato avessero quest’Uomo Dio, come Capo di tutte le Creature. A tale precetto resisté Lucifero, e provocò altri a far lo stesso, ad essi persuadendo, che sarebbe egli lor capo, che avrebbe costituito un principato ed un Regno indipendente da Cristo. Crebbe la sua fellonia in udire, che anco onorare dovevasi una Vergine di Cristo Madre, come Sovrana e Regina, da arricchirsi di doni, di Grazia, e di Gloria sovra tutte le Creature angeliche ed umane; corrispondendo con orrende bestemmie, e condannando per ingiusti i decreti divini, offensivi di sua grandezza. Tal superbia provocò la Divina indignazione, che nel terrestre Paradiso pronunziò al Serpente quell’Ipsa conteret caput tuum.

Discacciato con gli Angioli rubelli Lucifero lor capo, formò Iddio le altre Creature servendosi de’due vaghissimi originali Cristo e la Vergine Madre, copiando da essi tutte le altre Creature; e particolarmente formando Adamo ed Eva, dié loro moto, perfezioni, e benedizioni; in riguardo ch’erano il ritratto di que’ due grandi amatissimi originali. Occultò Dio a Lucifero la creazione di amendue per qualche tempo, cioè finoché amendue insieme furono; e ciò fé per cominciare a porre in dubbio al Demonio, se Eva era quella che dovea fiaccargli il capo, e se Adamo era il Verbo Incarnato. Qui cominciò la rabbia dell’astuto nemico a porre in opera le sue insidie, ed essendogli riuscito di pervertire la donna, e per mezzo di lei anche l’Uomo, è incredibile il trionfo, che ne mostrò co’ suoi Demonj, ma durò poco, sì per vedere la Pietà divina verso i delinquenti nel restituirgli alla sua amicizia mediante la penitenza; sì anco per aver udito quella minaccia, la Donna schiaccerà il suo capo.

Indi moltiplicato l’uman genere, elesse il Signore un popolo specialmente diletto, e tra esso un chiaro lignaggio, da cui discendesse secondo la carne il suo divin figliuolo. A questo Popolo ei fé segnalati favori, rivelò occulti misteri, impegnò la sua protezione, e gli dié Santissimi Patriarchi, e Profeti, i quali in figure e profezie annunziassero di lontano la sospirata venuta del Verbo Incarnato. Quindi avvicinandosi il tempo determinato, mandò Iddio nel Mondo due Santissimi Personaggi, che quasi due lucidissime Stelle annunciassero con la loro chiarezza la santissima venuta del Sol di Giustizia Cristo comun Salvatore; e questi furono San Gioacchino e Sant’Anna, prevenuti, e preparati da Dio per il disegno, che egli avea ab aeterno di fare Genitori della Gran Vergine Madre. Abitava San Gioacchino in Nazaret Città di Galilea, in cui avea parenti ed amici, ed era uomo giusto e santo, illustrato singolarmente da Dio con altissime cognizioni de’ misterj divini, e delle profezie della Scrittura Santa. Abitava Sant’Anna in Bettelemme, ed era pudica, casta, umile, e dotata di singolare bellezza, e non meno intelligente che Gioacchino de’ sublimi sensi delle divine Profezie. A lei fu inviato in forma visibile l’Arcangelo San Michele, che ordinogli prendesse per Isposo Gioacchino, a cui anco comparve alquanto dopo, ma in sogno avvisandolo, che prendesse per Isposa Anna. Effettuossi questo santo Matrimonio, senza che alcuno di essi manifestasse dell’Arcangelo l’apparizione, ed era Gioacchino allora in età di quarantasei anni, ed Anna di ventiquattro. Convissero i Santi Sposi in Nazaret con somma rettitudine ed esercizio di sante Virtù; delle loro rendite ne facevano ogn’anno tre parti: una la offerivano al Tempio dedicandola a Dio; l’altra distribuivano a’ poveri, e con l’altra mantenevano se stessi e la famiglia decentemente. Passarono venti anni senza prole con qualche rammarico, per esser in que’ tempi di obbrobrio per non dover aver parte nel futuro Messia, erano motteggiati da’ vicini, ed anco ingiuriati come inutili da’ Sacerdoti; in fatti andato Gioacchino al Tempio per orare, Inchar che era uno de’ Sacerdoti, lo discacciò, come infecondo, e però indegno di Sacrifizj. Ritirossi perciò il Santo tutto mortificato in un suo Casino di campagna pregando il Signore con lagrime a dargli prole, facendo voto di offerirgliela nel suo Tempio. Apparve in questo mentre l’Angiolo a Sant’Anna, e dissele che sarebbe stata orazione all’Altissimo molto grande il chiedergli prole. Eseguì l’avviso la Santa Matrona, ed offerì ancor Ella umilmente con voto a Dio quel parto, che si sarebbe compiaciuto concederle. Giunsero queste preghiere al divin Trono, e si spedì l’Arcangiolo Gabriele a San Gioacchino, che dissegli: Gioacchino, ha esaudito l’Altissimo le tue suppliche, ed Anna tua sposa concepirà e partorirà una Figliuola, che sarà benedetta tra le Donne, e fortunata tra tutte le Genti; vuole il Signore, che dalla sua infanzia gliela consacri nel Tempio. Sant’Anna in questo mentre stava in altissima contemplazione tutta elevata nel mistero dell’Incarnazione, pregando ferventemente il Signore a farla degna di vedere e servire quella ben avventurata Donna, ch’esser doveva Madre del sospirato Messia; ed ecco che entra a Lei l’Arcangiolo manifestandole, come Iddio la eleggeva per Madre della gran Madre del suo Unigenito. Tutta ebra di santo fervore restando la santa Matrona, ringraziando il Signore, portossi al Tempio per rendergli le dovute grazie. Incontrossi con Gioacchino, manifestandogli la rivelazione dell’Altissimo, portandosi insieme nel Tempio ratificando il voto, e ringraziando caldamente il Signore. Nel ritornarsene poscia conferirono tra di loro le misericordie divine, scoprendosi le primiere visite degli Angioli ed ordine di insieme sposarsi, che non mai se n’era tra loro fatta parola: né gli scoprì la prudente Matrona, che la Bambina promessa esser dovea Madre del sospirato Messia, avendoglielo vietato l’Arcangelo.

Ora essendo giunta la pienezza de’ tempi, tutte e tre le Divine Persone, a nostro modo d’intendere, tra loro dissero: È già tempo che diamo principio alla grand’opera del nostro beneplacito e introduciamo nel Mondo quella pura Creatura, ch’esser dovrà sovra tutte le altre la più cara a nostri sguardi, esentiamola dalla Legge ordinaria degli altri, acciò in Lei non abbia parte il serpente infernale; è giusto che la Divinità si depositi in materia purissima, e non mai macchiata da colpa veruna; né conviene alla nostra bontà e sapienza di tralasciare il più perfetto, decente e santo per quello, ch’è meno; mentre alla nostra volontà non vi è chi possa resistere. Il Verbo incarnato, Maestro degli uomini dovendo essere, insegnerà con maggior efficacia ad onorare i genitori, dandone Egli prima l’esempio con onorare quella, che ha eletta per Madre, e tra questi onori concedendole il privilegio a non esser mai soggetta a’ suoi nemici; anzi dovendo esser Egli dell’uman genere il Redentore, ben gli conviene di esercitare primieramente questo uffizio colla propria Genitrice, ma con una sorte di redenzione singolare per Essa, la quale consista non in cavarla dal peccato dopo cadutavi, ma in prevenirla colla sua Grazia, sì che non vi cada; onde preservandola tutta purissima ed immacolata, goderà di vedere, che passi tra la sua Madre terrena, ed il suo Padre celeste quella maggior somiglianza di purezza, che sia possibile tra Dio e la Creatura. Questo tal divino Decreto fu rivelato agli Angioli santi, i quali con profondissima riverenza tutti prostrati dinanzi al Trono della Augustissima Trinità le diedero somme laudi, e le resero lietissime grazie per aver finalmente esaudite quelle preghiere, che tutti essi sino dalla battaglia ferale con Lucifero avevano sempre offerte, acciò si eseguisse la Incarnazione; e quindi a gara tutti esibironsi per Ministri di sì alto Mistero, desiderosi di comporre la Corte al Figliuol di Dio, e alla sua purissima Madre.

Erano già scorsi venti anni del Santo Matrimonio, e perciò Gioacchino in età era di sessantasei anni, e di quarantaquattro Sant’Anna, quando in adempimento della Divina promessa, con successo veramente ammirabile, generarono quella Fanciulla, ch’esser dovea Gran Madre di Dio, tutto eseguendo nella maniera ordinaria delle altre generazioni; ma la virtù dell’Altissimo levò a questa operazione tutto lo imperfetto e disordinato, lasciandovi solo il puro necessario a fine che la natura somministrasse la materia dovuta per formare il corpo più perfetto, che fosse mai stato o fosse per essere in verun’altra donna; risplende grandemente la divina virtù nel supplire con miracoloso concorso alla naturale sterilità di Sant’Anna, ma nulladimeno meravigliosa fu la grazia singolare dalla quale prevenuti i Santi Genitori restarono in quell’atto così astratti ed esenti dalla concupiscenza e diletto sensuale, che raffrenato in essi ogni fomite del peccato, mancò quivi alla colpa originale il foriero, o sia il mezzo, con cui l’ordinario si comunica. In questa formazione del corpo di Maria Santissima fu così attenta la Sapienza Divina, che lo compose in peso e misura perfettissima nella quantità e qualità degli umori, onde con fina proporzione di ottimo temperamento servir potesse meglio alle operazioni di quell’Anna sì grande e sì santa che doveva animarlo. Fu questo Corpicino arricchito da Dio di doni naturali in tanta copia e profusione, che tutta la umana natura non avrebbe saputo farlo nella complessione, e nelle potenze materiali uguale a questo; perché Iddio, a nostro modo d’intendere, pose più cura ed applicazione in formarlo, che nel lavoro di tutt’i globi celesti, e di tutto l’Universo.